Legge 40, Balduzzi proporrà il ricorso contro la sentenza di Strasburgo?

Procreazione medicalmente assistita, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha bocciato la legge 40 perché “incoerente” nella parte che vieta la diagnosi preimpianto sugli embrioni.

Il pronunciamento, avvenuto su ricorso presentato da due cittadini italiani, scatena le italiche polemiche e riaccende il dibattito su una legge ormai svuotata a colpi di sentenze. Balduzzi per ora studia il verdetto, ci sarà un ricorso del governo?

Quindi la Corte europea ha accolto il ricorso presentato da una coppia italiana che, dopo aver avuto una figlia malata di fibrosi cistica, proprio per evitare di metterne al mondo un’altra con la stessa malattia genetica, ha scelto la fecondazione assistita.

Il ministro della Salute Renato Balduzzi, intervistato da Radio Vaticana, ha parlato di un possibile ricorso per difendere ''il bilanciamento che il nostro ordinamento fa tra la soggettività giuridica dell'embrione, la tutela della salute della madre e di altri valori, principi e interessi coinvolti''.

E probabile quindi che Balduzzi, insieme ad altri dicasteri, sottoponga la questione al Consiglio dei ministri.

Ma di cosa si sta parlando?
La scienza mette a disposizione strumenti diagnostici per verificare la salute dell’embrione, ma la legge 40 li vieta proprio per evitare che gli embrioni non sani possano essere “scartati”.

Per i giudici della Corte di Strasburgo “il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente”.
Perché incoerente? Semplice e di facile comprensione, perché un’altra legge dello Stato italiano, la 194, consente alla coppia di ricorrere ad un aborto terapeutico.

In altre parole, lo Stato dice alla coppia: ti vieto di diagnosticare la salute dell’embrione perché non voglio che lo sopprimi. Se poi il feto, una volta instaurata la gravidanza, dovesse risultare affetto da una malattia genetica, puoi ricorrere comunque all’aborto terapeutico.

Si, esatto. E per essere sicuri che l'intenzione dei politici, che hanno voluto e tutt'ora difendono la legge, arrivi ben chiara a chi legge ed è poco pratico della materia, lo ripetiamo in modo ancora più chiaro anche rischiando di apparire ridondanti . Lo Stato dice alla donna: non puoi sapere se l'embrione è malato, sei obbligata a fartelo impiantare e poi, se è "difettoso", puoi abortire.

E attenzione, la legge ammette l'aborto terapeutico solo in presenza di un feto malato che può procurare seri rischi per la salute psico-fisica della donna. Quindi anche questa pratica non è una passeggiata di salute.

Il buon senso detterebbe un comportamento del legislatore che tuteli la salute della donna, invece di porla nella condizione di dover abortire con i rischi di un intervento chirurgico.

Definirla solo “incoerente” è un vero atto di generosità (o di pietà) da parte della Corte europea secondo la quale la legge 40 viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare “con un’ingerenza sproporzionata”.

Così lo Stato italiano è stato condannato a versare ai due genitori ricorrenti 15 mila euro a titolo di risarcimento per i danni morali subiti e 2.500 euro per le spese legali. Ora occorrerà attendere tre mesi e se nessuna delle parti in causa farà ricorso, la sentenza sarà definitiva. In tal caso il governo italiano dovrà anche adeguare la normativa in questione.

La legge 40 viene alla luce (si fa per dire) nel 2004 con il governo Berlusconi. Subito è polemica, è definita in molti modi: da legge medievale a liberticida, da crudele e inumana a irrispettosa della salute delle donne.

Del resto, è sufficiente rileggerne un articolo che limitava la produzione di embrioni “comunque non superiore a tre” e che introduceva l’obbligo di “un unico e contemporaneo impianto”. Il trasferimento degli embrioni era “da realizzare appena possibile” e solo “per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna” poteva essere procrastinato.

In altre parole, la donna non poteva tornare sulla sua decisione. Una volta prodotti gli embrioni era obbligata a sottoporsi alle previste procedure, salvo gravi motivi di salute.

Già in questo passaggio la legge manifestava la sua iniquità. In caso di ripensamento, come si poteva obbligare la donna? Con l’intervento delle forze dell’ordine?

Ovviamente la decisione di Strasburgo non è andata giù a molti politici. Dall’area catto-Pdl-Udc si alzano gli scudi a difesa della legge. Sono i soliti noti: Maurizio Lupi, Gialuca Volontè, Paola Binetti, Maurizio Sacconi e Eugenia Roccella.

Anche il Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica scende in campo definendo la sentenza “eugenetica liberale”. Ma il ginecologo Severino Antinori rimanda l’accusa al mittente: “facciamo la diagnosi solo per malattie genetiche gravi e non per vedere se il bambino è biondo”.

Ovviamente anche dall’altra sponda del Tevere i commenti polemici non si fanno attendere. Per il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, la decisione dei giudici di Strasburgo “surclassa” la nostra magistratura con un “singolare superamento della giustizia italiana”.

Ma forse il cardinale difetta di memoria, infatti la legge 40 è ormai un contenitore vuoto. In questi anni i limiti imposti sono stati più volte ritenuti illegittimi dalla Corte Costituzionale. In ben 16 occasioni proprio i giudici italiani hanno ordinato l’esecuzione delle tecniche di fecondazione limitate dalla legge stessa.

Ecco perché secondo Carlo Flamigni “la legge 40 è ormai totalmente svuotata”. Ad averla smontata pezzo per pezzo è stata proprio magistratura italiana.

Parlando di fecondazione assistita, il ginecologo, membro del Comitato nazionale di Bioetica, dice che la normativa “non c’è più” e che “è rimasto solo il divieto di donazione dei gameti”. Ma anche su questa limitazione si dovrà esprimere la Corte Costituzionale.

Ci vuole tanta pazienza. Per fortuna siamo un Europa, ma che imbarazzo...

di Mauro David

Pubblicato 29/8/2012

Per approfondire:

Sterilità e fecondazione assistita

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