Abortisce nel bagno del Pertini, da sola

La donna è affetta da una rara malattia genetica e deve interrompere la gravidanza al quinto mese, ma in ospedale erano tutti obiettori. Abortisce nel bagno dell’ospedale, da sola, senza assistenza.

Che 8 marzo memorabile, una data che quest’anno ha rappresentato uno dei peggiori gironi infernali per le donne.

Tre sono state le donne assassinate dai loro mariti e compagni, donne che volevano solamente decidere la propria vita ma che, come al solito, hanno trovato davanti il loro maschio che gli ha sbarrato la strada e con una crudeltà feroce le ha cancellate.

Sono sei i femminicidi avvenuti nella prima settimana di marzo, il che porta ad un totale di 68 le donne uccise nel primo bimestre di questo anno.

Poi il documento redatto dal Consiglio d’Europa che condanna il nostro Paese per la violazione della legge 194, nel quale è scritto “A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”.

Ed ora per ultimo, come se non fosse già abbastanza, questa incredibile storia avvenuta all’Ospedale Pertini di Roma, quattro anni fa, dove una donna ha partorito da sola in un bagno.

Valentina e Fabrizio sono una coppia che vuole avere figli, ma a causa di una grave anomalia genetica la gravidanza difficilmente giunge a buon fine, come gli era già accaduto quando il loro primo tentativo di avere un figlio terminò con un aborto, a causa di una gravidanza extrauterina.

I due ragazzi non demordono e fanno un altro tentativo che sembra procedere bene fino a quando, una villocentesi per lo studio del cariotipo fetale, rivela che il feto ha gravi problemi, per cui la coppia deve ricorrere all'interruzione di gravidanza. Ed a questo punto iniziano i problemi per Valentina e Fabrizio ed inizia lo “scontro” con il Servizio sanitario nazionale e con gli ospedali.

Dapprima, il primo ginecologo a cui si rivolgono, il 25 ottobre del 2010, che è il ginecologo di fiducia di Valentina, rifiuta di farle la richiesta di ricovero in quanto obiettore.

Poi riescono ad ottenere la visita di una ginecologa dell’ospedale Pertini di Roma la quale li invita a tornare dopo due giorni per ritirare la richiesta di ricovero.

Il 27 ottobre Valentina riesce finalmente ad essere ricoverata al Pertini, ed inizia la terapia per indurre il parto.

Dopo oltre 12 ore di dolori lancinanti, accompagnati da vomito e da svenimenti, Valentina partorisce con il solo aiuto del marito nel bagno del reparto in cui è ricoverata.

Nonostante l’esperienza dolorosissima e di cui manterrà per tutta la sua vita un ricordo orribile, la coppia decide di non presentare denuncia nei confronti dell’Ospedale e se ne va casa.

Il loro desiderio di avere un figlio li spinge allora a tentare la via della procreazione assistita rivolgendosi all'Unità fisiopatologia della riproduzione e fecondazione assistita all'Asl Roma A, Centro per la salute della donna S. Anna, dove richiedono di poter avere la diagnosi genetica preimpianto. Ma qui rispondono picche perché la coppia non è infertile e quindi non avrebbe diritto di accesso alle tecniche.

A questo punto, oramai stanchi di combattere una battaglia da soli contro le mura che gli vengono costruite intorno ogni volta, Valentina e Fabrizio chiedono aiuto all’Associazione Luca Coscioni che fa partire un procedimento per omissione di soccorso, reato penale, contro l’Ospedale Pertini, anche se la coppia non aveva presentato in quella drammatica occasione nessuna denuncia.

L’associazione ha anche presentato denuncia contro il centro dell’Ospedale Sant’Anna perché, come dice Filomena Gallo, Segretario nazionale dell'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, la struttura del Sant’Anna, è “un centro pubblico autorizzato ad applicare tecniche di terzo livello, e pertanto in grado di eseguire fecondazione in vitro e di fornire informazioni sullo stato di salute dell'embrione a seguito di richiesta della coppia ai sensi della legge 40”.

Una storia, quella di Valentina e Fabrizio, che dimostra, se ce ne fosse ancora necessità, la ragione del documento redatto dall’Ue nel quale l’Italia viene condannata per violazione della legge 194 ed in genere per le sue politiche che negano diritti alle donne.

Non credo sia necessario ricordarlo, ma sicuramente fa sempre bene ricordarlo a tutti quei soloni e sepolcri imbiancati che cianciano sentenze sulla legge 194, che in primo luogo la è una legge dello Stato italiano, in secondo luogo che l’articolo 9 prevede che il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) deve essere garantito ed ogni struttura ospedaliera è obbligata a offrirlo.

Una indagine svolta nel giugno del 2013 diceva che, contrariamente a quanto afferma il ministero della Salute, abbiamo una situazione che scoraggia “de facto” le donne ad avere applicato il loro diritto all’interruzione di gravidanza in varie regioni, come la Lombardia ad esempio, dove ci sono gravi carenze che in pratica impediscono il funzionamento delle legge 194 in 37 strutture su 64, ossia in oltre il 50% degli ospedali, quasi sempre per l’elevato numero degli obiettori.

Anche se la maglia nera va alla Regione Lazio dove con il 91,3% del personale sanitario che ha esercitato il diritto all’obiezione, è davvero difficile eseguire un’interruzione di gravidanza.

E ripetiamo per l’ennesima volta che nessuno contesta il diritto del personale di obiettare, ma i nostri governanti, a partire da Zingaretti, e dico nostri perché io personalmente l’ho votato, dovrebbero ricordarsi che per legge non è prevista l’obiezione di struttura e la legge dice esplicitamente all’art 9, quarto capoverso che :

“Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

Credo che sia chiaro e che non lasci spazio ad interpretazioni, per cui i nuovi dirigenti della sanità, insieme a Zingaretti, si ricordino che è “loro dovere” applicare la legge 194.

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Pubblicato il 12/3/2014

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